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LA TELA STRAPPATA

  • Immagine del redattore: salvatore
    salvatore
  • 18 gen
  • Tempo di lettura: 6 min

Cercando di riordinare nel mio box-auto il materiale accumulato in settant'anni di vita, ho ritrovato un libricino di racconti "inediti", poesia e prosa, di un concorso letterario cui ho partecipato nel 1980 con un racconto quando, ancora specializzando in anatomia patologica, mi erano venute anche velleità letterarie, abbandonate per dedicarmi "anima e corpo" alla professione. Forse vista la professione scelta era un racconto su gli ultimi momenti ed ultimi pensieri disordinati di un uomo che sta morendo. Ripropongo il racconto, tranne una diversa suddivisione dei paragrafi, così com'era, con tutte le eventuali espressioni ingenue ed errori. Con nostalgia ma anche con un pizzico di divertimento. E riprendo a scrivere qualcosa su questo blog, così per sfogo.


Indovinava i fili di una ragnatela tesi tra il muro e l'imposta di legno della finestra solo per la presenza di una macchietta più scura in un angolo: un ragno paziente e sicuro attendeva la preda che non poteva non arrivare e rimanere intrappolata apparentemente dal nulla, in realtà invischiata nella sottile rete.

Giaceva nel letto di quell'ospedale da mesi - da quanto di preciso? - tanti mesi da poter dire anni. Il diabete, dicevano, e il cuore, ma anche i polmoni erano un po' fuori uso - aveva fumato troppo, brutta abitudine! - Aveva tante volte pensato con paura ad un cancro. Ridicolo! Quando si è agli sgoccioli poco importa quale sia la vera causa. Era entrato sicuro di sé - come lo descrivevano nella vita - era "cosa da poco", visite di controllo per malesseri aumentati di frequenza - la stanchezza evidentemente.


La suora aveva accostato alcune tendine, c'era solo penombra nella stanza, ma il caldo era soffocante. La maggior parte dei degenti dormicchiava agitandosi sopra i letti al di fuori delle lenzuola, qualcuno sventolava un foglio di giornale tanto per non arrendersi all'afa.

Ed egli stava morendo. Era sicuro. Aveva freddo. Si può avere freddo ad agosto? Voglia di piangere. Chissà se sua moglie aveva avuto la stessa voglia ed aveva pianto quando con distacco ed una certa trasandatezza la aveva avvisata del fatto che ormai dovevano separarsi, ripetendole, da bravo ipocrita, che la colpa era di nessuno ma facendole intendere chiaramente: "in fondo è colpa tua". Era sciatta, troppo normale e banale. Se ne era andato tranquillo tre giorni dopo, prendendo alloggio in una pensione prima ed in un'altra casa poi. Sapeva la moglie che stava morendo?

Non era venuta. Perchè doveva se non si incontravano da anni? Forse non sapeva. Ma sì', sua figlia doveva averglielo detto. Si vendicava. Era ingiusta, non aveva anche lei paura di pagare tutto questo un domani? Ma chi? Chi doveva farla pagare? Dio. Esisteva. No, non poteva esistere. Non esisteva un maledetto essere che doveva farlo finire così in una squallida camerata di ospedale.

Aveva voglia di alzarsi, di uscire, di dire alla suora che stava bene e che tornava fuori. In libertà. Che colpe aveva? Dio non poteva essere così cattivo. Non poteva? Con gli occhi a volte offuscati che fissavano una macchia giallastra sul soffitto, Lo vedeva con la faccia della moglie ed ai lati qualcuno - una santa? - che altri non era se non sua figlia e dietro altri ed altri ancora, tutti in Paradiso; la portiera del suo nuovo alloggio intercedeva per lui: "E' così tranquillo e paga puntualmente il condominio"; no, non aveva grosse colpe. "Dottò nun se preoccupi che mò finisce", non è nulla dottò". Augusto il ...Oddio, chi era, cioè non chi era, ma cosa faceva Augusto...i nomi gli cominciavano a sfuggire. Augusto guidava la macchina messagli a disposizione dall'ufficio e chi fa questo mestiere si chiama... Non veniva proprio in mente, ma bastava chiederlo. Girarsi di fianco o girare la testa e chiederlo al vicino di letto.

Chiederlo, certo, rincorrere un nome anche così comune per non sentirsi scomparire, cancellato dal mondo dei vivi. Puntare tutte le sue energie sulle poche lettere di quella parola.

Quante volte aveva impegnato le sue forze negli affari? Con la strafottenza che solitamente metteva nei rapporti con gli altri, il cinismo di tante sue azioni economiche o di tante manovre di carriera. Era un essere schifoso? Questo pensiero gli martellava in testa. Possibile che alla fine uno pensi e ricordi solo le cose obbrobriose che ha fatto?

Quale fine? Non era alla fine - voleva urlarlo - ecco, per dimostrare la sua vitalità ora si girava e domandava cosa facesse Augusto, altro che fine. Avrebbe fatto vedere a tutti che era solo un momento rapido e fugace quel suo malessere. Sì, come quella volta che di notte dopo cena con amici si era sentito male. Gli veniva da ridere. Quella notte aveva vomitato - bevuto troppo e troppi grassi - aveva scritto due parole per avvisare chi avesse l'indomani trovato il suo cadavere. Gli veniva da ridere.

Faceva un caldo soffocante, a volte se ne rendeva conto e sudava, a tratti tremava di freddo, l'unica nota un pò dolce erano i gelsomini sul comodino: una decina di fiorellini lasciati lì dalla figlia. Quel profumo gli ricordava tante cose. Passate. Si accorgeva di avere le guance bagnate da un rivolo di lacrime che appena superato lo zigomo, vista la sua posizione sdraiata, piegavano lateralmente e gli andavano a bagnare l'orecchio.

Anche questo gli ricordava tante cose o forse sempre le stesse. L'infanzia, il tempo lontano. Felice? Non felice? Chiacchiere. Il tempo trascorso in un modo o nell'altro è sempre felice o per lo meno non è considerato mai così triste come quello presente. Quel profumo nelle narici lo faceva fremere e innervosire come gli animali quando si avvicina il temporale. Lo aveva avuto fin nel cervello per lungo tempo quando viveva con i suoi al paese; le case ne erano rivestite e l'aria impregnata. Invece di rimanere era fuggito.

Probabilmente questa era una delle cretinate che si dicono sempre. Se si rimane in un posto quasi dimenticato, si piange per le occasioni perdute, se si parte, si piange una felicità ancestrale buttata alle ortiche. E' vero la si rimpiange solo quando si sta male, altrimenti la marcia verso il proprio personale burrone è fatta con allegria.

Ma cosa c'entra il burrone? Che voglia di lagnarsi non di piangere. Proprio come faceva da piccolo quando si incapricciava per qualcosa, per qualche desiderio assurdo che pignolescamente pretendeva fin quando due sberle ben date dal "signor padre", notaio, non lo spedivano a letto senza cena e lacrimante. Anche allora appunto le guance si rigavano con una curva fino alle orecchie ed al cuscino.

Un mugolio dal letto 67 aveva fatto avvicinare la suora che ora stava tastando il poso. Debole. Frequenza bassa. La flebo d'altro canto non poteva andare più veloce. Negli occhi tanta cristiana comprensione e tanta fredda abitudine nei gesti ripetuti in chissà quante migliaia di occasioni.

Anche quella suora lo giudicava; ma era l'infermiera o l'arcigna madre superiora che gli dipingeva l'inferno dei cattivi durante il catechismo per la prima comunione? Ah era la crocerossina dell'ospedale da campo in Grecia che era venuto a trovarlo. Buon segno, anche l'altra volta quando lo spezzone di proiettile sembrava avergli troncata per sempre la vita, incontrare Luisa lo aveva salvato. Macchè, Luisa era il nome della moglie, la crocerossina si chiamava Grazia...anzi Graziella.

Che male di testa. Non era nemmeno il solito, era come se il cervello venisse risucchiato... E poi quella maledetta luce. Sacrosanto Iddio, chissà perchè sua madre non veniva ad accostare le persiane. Forse perchè anche sua madre stava male, la sentiva respirare affannosamente nel letto accanto e il dottore aveva detto che per la vecchiaia era troppo consumata e da un momento all'altro dovevano aspettarsi il peggio...ed egli era lì che piangeva tenendo stretto un lembo della coperta e serrandolo tra le dita di bambino sempre più spasmodicamente.

Ma chi? Chi era quel bambino vicino al letto di sua madre se egli stava in un letto a sua volta, immobile ed attonito? Forse senza ricordare si era fatto sistemare nella stanza della madre morente per starle più vicino. Però qualcuno all'altro capo del letto si muoveva...qualcuno vestito di bianco...finalmente la moglie lo veniva a trovare, anche se stranamente era vestita da crocerossina o da suora o da ballerina. Furba, lei, lo voleva spaventare per punirlo del suo tradimento e per non farsi vedere sciatta, a meno che in realtà non fosse venuta a trovare sua madre e non lui, perchè oramai stava andando in Inferno e solo la portiera lo mandava in Paradiso...

Le scarpe della suora avevano scricchiolato sul pavimento lucido e nel silenzio stagnante. "C'è ancora troppa luce". La mano aveva accostato l'imposta di legno. La tela, ora strappata e deserta, non era riuscita ad intrappolare nessuna della tre mosche che infastidivano la camerata boccheggiante ed annoiata.


 
 
 

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